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Nell'antitesi tra il collettivismo della società di massa - sostrato imprescindibile dei totalitarismi della prima metà del Novecento - e il suo individualismo atomizzato, Martin Buber coglie il segno più visibile della crisi dell'umano. Muovendo da qui, il volume ripercorre le diverse stazioni dell'agire e del pensiero politico del filosofo ebreo-tedesco: il suo difficile legame con il movimento sionista; l'amicizia con Gustav Landauer; il rifiuto del comunismo sovietico, cui egli contrappone la ricerca di un socialismo religioso e utopico; la resistenza spirituale buberiana negli anni del nazionalsocialismo; il suo instancabile impegno per il dialogo e la riconciliazione, tanto con la Germania posthitleriana quanto all'interno del conflitto arabo-israeliano. Al tempo stesso, vengono ricostruite le invarianti strutturali del discorso politico-sociale buberiano: la comunità, la società, lo Stato.