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Il filo verde di Angela Schiavone è voce dei morti e voce dei vivi, è mormorio continuo che si intreccia di forti legami familiari e atmosfere potenti e soffuse dell'Italia meridionale del Novecento. Lo si può definire un menoir, ossia fusione di memoria e di investigazione, di ricerca, di morte; non vi è nostalgia, quanto la descrizione di un sottosuolo afflitto dai crolli, in un paese che accompagna i personaggi lungo i loro destini ora tragici ora irrisolti, quasi a voler cercare altrettanta quiete. Romanzo notturno per la lingua, romanzo felice per il senso di liberazione che cerca, romanzo di inquietudini, di spettri, in cui i capitoli si susseguono come scosse sismiche che ora fanno tremare ora riposano e costruiscono così la topografia di un mondo che non sa stare fermo ma affida alla memoria la labile esistenza di donne come Marianna e Maricella.