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La corte di Mattia Corvino e Beatrice d'Aragona ospitava a Buda - secondo la testimonianza di Galeotto Marzio riportata nel suo De dictis ac factis regis Mathiae (1485) - anche «musici e cantori che nei convivi, accompagnati dal liuto, cantavano in lingua patria le gesta dei forti». Quella tradizione narrativa non solo sopravvisse alla fine dell'Ungheria corviniana, ma si evolse e si consolidò all'interno di un "genere letterario" che, collocato fra oralità e scrittura, rappresentò una sorta di contenitore formale di testi composti secondo le tecniche della oralità secondaria. Il menestrello ungherese - che non raramente partecipava alle campagne militari del suo signore - si fece litteratus. I suoi strumenti furono il liuto e la voce, la spada e la penna.