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Situata, come tanti racconti conradiani, «'twixt land and sea», "Amy Foster" è una dolorosa storia di spaesamento da entrambi gli elementi: un mare sconosciuto e minaccioso per l'emigrante Yanko Goorall, in viaggio dai Carpazi verso l'America in una nave che fa naufragio sulla costa inglese dell'East Bay, e una terra altrettanto sconosciuta dove egli approda, unico superstite, nelle sembianze perturbanti e nel linguaggio incomprensibile dello straniero e del diverso. Contro la paura e il sospetto della piccola comunità che lo esclude attribuendogli tutti i segni della non appartenenza - il matto, il demonio, l'animale - sembra stagliarsi la piccola e rozza figura di Amy, una mite, indolente domestica che, misteriosamente e istintivamente, si innamora di lui - del suo corpo flessuoso e leggero, della sua voce gutturale che intona strane melodie, del suo sguardo pensoso e lontano. Ma se, come dice il narratore, Amy aveva avuto «abbastanza immaginazione» per innamorarsi dello straniero, questo non basterà, nel tempo, a spezzare le barriere della divisione sociale, linguistica e culturale che separano Yanko dal resto della comunità. E così come lo aveva accolto, forse altrettanto inconsapevolmente ne rifugge atterrita abbandonandolo a una chiusa disperata solitudine e a una morte senza parole.