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La Palermo degli anni Ottanta, in una Sicilia trasformata nella sede della più grande base di missili nucleari della Nato in Europa, era un crocevia di affari e intrighi tra politici, imprenditori, burocrati e mafiosi. Mai come in quella stagione Cosa Nostra ha fatto politica, impugnando le armi per soffocare nel sangue e nel terrore ogni volontà di cambiamento. Sotto i suoi colpi, il 12 gennaio 1988, cadde Giuseppe Insalaco, un democristiano che aveva bruciato le tappe di una fortunata carriera nel partito di Salvo Lima e Vito Ciancimino, fino a diventare sindaco. Nei suoi 101 giorni alla guida del Municipio si era ribellato ai suoi padrini, sfidando a sorpresa i padroni degli appalti. Disarcionato da un'inchiesta giudiziaria, espulso dalla politica, aveva cominciato a raccontare i segreti dei rapporti tra mafia e potere. Fu fermato con quattro colpi di pistola. Ricostruire la sua storia, fin qui offuscata da una potente 'damnatio memoriae', è tanto più necessario nel momento in cui al Quirinale siede un siciliano come Sergio Mattarella che dalla ferocia di quegli anni è stato colpito in prima persona, con l'assassinio del fratello Piersanti, il presidente della Regione che sognava una Sicilia "con le carte in regola".