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"Eredi ingrati", nella prima parte, indaga i modi in cui la cultura tedesca ha gestito, dal 1900 al 1945, il prestigioso patrimonio della tragedia greca ereditato dall'età del classicismo romantico. Se "La nascita della tragedia" (1872) del giovane Nietzsche ne sconvolse genesi e destino, forme e significato, toccò a Wilamowitz ricomporne su solide basi filologiche una attendibile immagine storica e a un tempo "riscoprirla", facendola ritornare ai fasti della scena proprio nell'anno che apriva il nuovo secolo e in cui Nietzsche morì. Ispirandosi infatti all'antistoricismo, alla invenzione di un "mito tragico" e al "dionisiaco" irrazionalismo di Nietzsche, una generazione di giovani, duramente provata dalla Grande Guerra, affascinata dai "miti" riscoperti della "razza germanica" e dalla presunta affinità tra mondo germanico e mondo greco, e attratta dalla "rivoluzione reazionaria" del nazionalsocialismo, portò gravi insidie alla identità "ateniese" e alla istituzionale funzione "teatrale" del dramma greco. La seconda parte tratta del "teatro greco" di Max Reinhardt e dei "drammi greci" di Hofmannsthal, che con gli originali ebbero rapporti quantomeno problematici. La terza analizza tre "drammi greci" espressionisti, l'ultimo dei quali, la Medea di Jahnn, fu rappresentato nel 1926. Chiude il lavoro l'esame della Tetralogia degli Atridi di Hauptmann, cupa metafora della "tragica" fine della Germania nazista e del tramonto della "nietzscheana" tragedia greca.