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Il romanzo della nazione o la nazione del romanzo. Il libro di Enza Del Tedesco pone la questione con forza: è il primo - il romanzo - a sviluppare una riflessione su un dato di fatto che suscita perplessità e sollecita interrogativi, o la seconda - la nazione - a mettere alla prova l'intelligenza di una narrazione che fatica a tenere insieme una costellazione di esperienze statuali, di tradizioni culturali e civili, di identità popolari, che avevano certamente delle buone ragioni per unirsi, ma che nell'esperienza della convivenza scoprono anche, forse soprattutto, quanto ancora li divide non senza sofferenza? Partendo dalla conclusione, dal racconto cioè di una nazione che non c'è, la studiosa ricostruisce la storia del romanzo della nazione all'incontrano: da Pirandello a Nievo, risalendo da "I vecchi e i giovani", sino al progetto, al sogno, del giovane Ippolito, che racconta la metamorfosi del veneziano in italiano, incontrando lungo il tragitto De Roberto, Verga, gli scapigliati e quanti altri mai, tutti testimoni della difficoltà di raccontare una nazione che deve trasformare le proprie parti in un tutt'uno e, quindi, rassegnati a documentare la propria inconsolabile delusione. Il romanzo della nazione che non c'è smentisce la pretesa di chi, fatta l'Italia, voleva fare gli italiani, capovolgendola nel suo contrario: gli italiani, che pure c'erano, sarebbero mai riusciti a fare l'Italia, nonostante le divisioni di classe, di educazione, di costumi, di dialetti?