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Il re è morto, viva il re. Il 9 gennaio 1878 muore a Roma, nel suo appartamento affacciato sui giardini interni del Quirinale, il primo re d'Italia Vittorio Emanuele II, il Padre della Patria. In quattro giorni, fra il mettersi a letto e chiudere per sempre gli occhi, ha tempo di ripensare alla sua vita straordinaria. Di certo ha rivisto come in un lampo i vittoriosi campi di battaglia: si è creduto un leggendario guerriero e un abile stratega. Ha ripensato commosso alla barba di Garibaldi (quel brigante!) e persino a Mazzini, senza i quali, sembra incredibile, l'Italia non si sarebbe fatta. E soprattutto ai furibondi litigi con Cavour, quel geniale ma intrigante saputello a cui deve la fortuna della dinastia. Altri pensieri - più futili e perciò più piacevoli - gli si affollano nella mente: e così, ma non certo evocata per ultima, appare lei, Rosina, l'amante dagli occhi cangianti e quello stuzzichevole sorriso che gli aveva rapito il cuore trent'anni prima. Una semplice figlia del popolo - e dal popolo venerata - che aveva voluto accanto a sé creandola prima contessa di Mirafiori e Fontanafredda - ah, Cavour quanto si era arrabbiato! - e poi sposandola, seppure morganaticamente, davanti a Dio e agli uomini.