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Tragedia tra le più fosche e dolenti del teatro giacomiano, "La duchessa di Amalfi" è una storia di potere e sopraffazione, di inganni crudeli e violenza efferata, ambientata in una Italia rinascimentale immorale e corrotta in cui si agitano, tra orrore e pietà, fantasie allucinate e inconfessabili desideri. Ma è, soprattutto, la storia di una donna coraggiosa, vedova trasgressiva e vigorosamente sensuale, che non esita a porre la passione privata al di sopra delle ragioni della politica, della conservazione della stirpe e del patrimonio. Un grande personaggio femminile perché anche intensamente materno, che partorisce di fatto "in scena" (unicum nel teatro dell'epoca) a testimonianza della sua indomita vitalità. Attorno a lei si muovono, sinistre e ambigue, le figure maschili del potere e dell'inganno: i fratelli tiranni, e Bosola, 'villain' introverso e sardonico 'malcontento' che, in un sottile gioco metateatrale, osserva il suo duplice ruolo di protagonista e di attore di un dramma di cui non ha compreso appieno la prismatica essenza.