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Chi furono veramente i Florio e cosa significò la loro presenza per Palermo? Filantropi illuminati e colti mecenati, volti al bene comune, oppure cinici sfruttatori di una classe operaia, ancora inconsapevole dei suoi diritti? Arrampicatori sociali, adeguatisi al modello aristocratico, o dignitosi imprenditori, portatori di un'etica borghese? Megalomani dissipatori del patrimonio familiare oppure vittime dell'inarrestabile concentrazione capitalistica del Nord? E come la città aveva guardato alla loro scalata? Aristocrazia, borghesia nascente, strati popolari avevano colto le opportunità del processo di modernizzazione da questi avviato? Quanto alla mafia, il rapporto fra la criminalità organizzata e i Florio si era configurato come quello fra estorsore e vittima o c'era altro in gioco? Senza dubbio, nella memoria storica di Palermo, la potenza del loro mito ancora oggi esercita una forte suggestione, radicata com'è in diversi ambiti della popolazione palermitana e nutrita di nostalgia e di rimpianto per quello che la città fu e avrebbe potuto essere. Nella stesura di questo testo teatrale l'autrice non ha scelto alcuna interpretazione storica univoca, riguardo sia ad alcuni risvolti oscuri dell'ascesa dei Florio, sia alle responsabilità del loro crollo, preferendo affidare ad una polifonia di voci e ad una molteplicità di personaggi ragioni e convincimenti riferibili a più punti di vista. D'altronde, la complessità e le contraddizioni di questa "dinastia", nei suoi aspetti pubblici e privati, ne sono la cifra costitutiva, il che la rende aperta ad ogni interpretazione critica e, pertanto, affascinante sul piano teatrale.