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"[...] in quei tempi, quando venivano i contadini in paese, erano in molti e specialmente i fascisti a protestare. Non volevano vederci in piazza. Non avevamo diritto a entrare a Cannara, eravamo considerati dei pezzenti. Spesso venivamo rispediti a casa, a calci e spintoni. C'erano i "gorilla" prezzolati dai padroni che volevano ridurci al silenzio e al ghetto. Dovevamo soltanto badare al lavoro nei campi e alle bestie. E poi andava a loro il prodotto delle nostre fatiche! Lentamente ci organizzammo e, attraverso il nostro Sindacato, riuscimmo ad avere subito i primi confortanti risultati; con timidezza, eravamo riusciti a rimanere in paese, la domenica e nei giorni di festa, senza il rischio di essere calpestati e malmenati. Potevamo andare in giro con la cravatta e con le scarpe lucide. Questa è la verità! Prima di allora ci venivano vietati anche i diritti più elementari, e anche ai nostri figli che non potevano andare a scuola [...]". Introduzione di Renato Covino.