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Mi chiedevo: "Ma si rende conto di cosa ci stiamo facendo, ci stiamo rovinando la vita?". Che coraggio. Percorso il ciclo dei sentimenti provati in genere in queste circostanze - sofferenza, non accettazione, rabbia, speranza, voglia di rivincita, rassegnazione, nuovo guizzo di rabbia e infine indifferenza ostentata ma non reale - ebbi modo di comprendere che in realtà quella scelta non era dettata dal coraggio, non era un atto di coraggio, ma un rigurgito di paura. Ero senza dubbio più serio negli enti che non negli enta. Ci credevo di più, o meglio, ci credevo. Adesso mi alleno a crederci. È un esercizio, più che un moto. Siamo maglie troppo larghe, abbiamo messo tanto spazio tra noi. Un distacco agiato. Eppure avverto che le nostre mani provano ancora in tutti i modi disperatamente ad afferrarsi.