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Come tutti i suoi coetanei, da bambino Jostein Gaarder si è posto alcune grandi domande per le quali le persone che lo circondavano non avevano altrettanto grandi risposte: Non è strano che viviamo? Non è bello che il mondo esista? Questi interrogativi l'hanno segnato per il resto della sua esistenza che, infatti, ha trascorso a studiare, approfondendo la conoscenza di ciò che ci circonda. Ora che ha settant'anni ed è nonno di sei nipoti, Gaarder non solo non ha smesso di interrogarsi sui misteri della vita sulla Terra, ma ha anche raccolto una serie di intuizioni che desidera trasmettere alle generazioni future, con la speranza di allargarne e migliorarne la prospettiva. Nella lettera che scrive, e che è una magnifica combinazione di storia e scienza, di esperienze vissute e favole inventate, i protagonisti sono due e inestricabili: l'uomo e il mondo di cui lui stesso è parte essenziale. L'uomo in quanto unico essere vivente in tutto il cosmo che è cosciente della sua condizione; che sa provare quel sublime senso di vertigine dato dalla consapevolezza di non capire, di non sapere. L'uomo che è singolo ma anche moltitudine, che cammina sul mondo da miliardi di anni, ma che non ha ancora compreso che prendersi cura del suo mondo è prendersi cura soprattutto di sé stesso. L'uomo che è il nostro passato ma che è anche noi che siamo qui adesso e che, quindi, dobbiamo impegnarci per salvaguardare la nostra esistenza. Con il suo stile mai banale e sempre positivo, Gaarder comunica il suo messaggio più potente e motivante: vivere la vita è un privilegio, un miracolo che ognuno di noi deve tutelare.