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Pubblicato per la prima volta nel 1957, poco dopo la morte di Leo Longanesi, "La sua signora" «nasce orfano, ma somigliantissimo al padre, di cui riecheggia alla perfezione gli umori e i malumori». È infatti il suo «taccuino», in cui ritroviamo intuizioni, epigrammi, sarcasmi e frammenti di un uomo che «amava appassionatamente tutto ciò che diceva di odiare». E di malinconico sarcasmo è intriso, in questo libro, il racconto di quell'Italia degli anni Cinquanta in cui conformismo, retorica, inganno e mammismo si davano la mano senza vergogna; un ritratto amaro e disperato, in cui però risalta sempre la capacità dell'autore di «cogliere quel qualcosa che continua a vivere fino a noi, e la fulminante maestria con cui riesce a spiegare in un dettaglio un fatto di portata epocale», come sottolinea Pietrangelo Buttafuoco nella Postfazione. Dietro il velo del gioco di parole e dello scherno implacabile, quel che alla fine viene prepotentemente alla luce è la straordinaria personalità di Leo Longanesi, mirabilmente sintetizzata da Indro Montanelli nella Prefazione: «Un grande maestro. Insopportabile, cattivo, ingiusto, ingrato. Ma un grande maestro. L'ultimo».