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Manifesto del romanticismo byroniano, e non solo, "Manfred. Un poema drammatico" (1817) nasce, insieme al "Frankenstein" di Mary Shelley, al "Vampiro" di John W. Polidori e al "Prometheus unbound" di Percy B. Shelley, in quella strana fatale estate del 1816 in cui l'eruzione di un lontano vulcano, che oscurò i cieli di mezzo mondo, vide riunirsi sulle rive del Lago di Ginevra la più straordinaria e concitata compagnia di voci e spiriti poetici. Al centro di "Manfred" si staglia una figura dai torvi tratti gotici, nobile ribelle di stampo faustiano capace di evocare potenze occulte con le sue arti magiche, in cerca di una risposta al proprio malessere. Figura titanicamente sovversiva, Manfred rivendica con fierezza la superiorità dell'uomo, creatura «metà polvere, metà dio», sulle forze ostili del creato. Con le sue ambientazioni tra le cime delle Alpi, i personaggi sovrannaturali e le figure più comuni, i toni che oscillano dal cupo al solenne al faceto, e le scene dal poderoso impatto visivo, il dramma esplora temi centrali nella rivoluzione artistica e filosofica del primo Ottocento, come l'identità, la memoria, il rimpianto e il significato ultimo dell'esistenza e della morte. Per questa sua complessità suscitò l'interesse di Goethe e Dumas, Schumann e Nietzsche. Espressione grandiosa del tormento e del titanismo romantici, "Manfred" è un'opera multiforme, animata da spinte diverse e conflittuali, e pervasa da stimoli e suggestioni che continuano a suscitare nuove interpretazioni e nuove domande.