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Il testo racconta le vicende di un giornale calabrese, «Il Popolano», e, in particolare, della sua chiusura, a seguito delle leggi sul controllo della stampa durante il regime. Il periodico ebbe una lunga vita, dal 1882 e fino al 1930, anno della sua soppressione. Ma non fu mai un giornale d'opposizione: fu sempre amico del fascismo e il suo direttore, Francesco Dragosei, si vantò continuamente di essersi iscritto al partito sin dalle prime ore. Il suo comportamento, a un certo punto, non fu più considerato ortodosso dal potere, e la sua "creatura" cessò le pubblicazioni. Dragosei morì invocando insistentemente la riabilitazione del suo giornale che non avvenne. Nel volume si accenna anche all'esperienza di altro organo di stampa, sempre di Corigliano Calabro, «Il Monitore», diretto da Costabile Guidi, anch'egli fascista. Ma anche questo periodico, nel settembre del 1924, a seguito di vari sequestri, fu costretto a chiudere nel febbraio del 1926, e sempre in virtù delle leggi sulla stampa in vigore all'epoca.