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Tutti dovrebbero conoscere il nome di Grazia Deledda: a dispetto della scarsa considerazione riservatale persino nelle antologie scolastiche (quanta ricchezza potrebbero trarne gli studenti liceali!), vale la pena riscoprirla oggi, fra le pagine di altri suoi libri meno conosciuti e menzionati, ma altrettanto degni di essere letti per la sorpresa che regalano, nella densità di una scrittura sospesa tra realismo e allusività. In linea con la grande letteratura europea, la Deledda accoglie l'idea di un universo psichico abitato da pulsioni e rimozioni, trasponendo nello spazio narrativo il ?paesaggio dell'anima', da cui affiorano ansie e inquietudini mediate soprattutto dalle costrizioni sociali e dai divieti morali. Come ne "La danza della collana" (1924). Sul piano biografico ed esistenziale, questo splendido romanzo riflette una condizione personale di ripiegamento interiore e di allontanamento dal mondo, esplorando una dimensione a lei cara, di ?poeta primitivo', fonte di pensiero e di creazione artistica. Due i piani di interpretazione del testo: quello reale e quello simbolico, in una molteplicità di rimandi di senso, che necessitano di una lettura attenta e allargata ad altri testi e fonti - centrale è la presenza di archetipi jungiani - per essere colti appieno. Due i protagonisti, affiancati da personaggi che assumono per loro il ruolo di elementi rivelatori, funzionali al disvelamento e alla comprensione di aspetti cruciali di sé.