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Assistiamo oggi a un male spettacolarizzato, veicolato dai media, che crea o amplifica le nostre paure. È un male essenzializzato, spoglio, che già contiene al suo interno una risposta al "perché" sussista. Poi esiste un male quotidiano, vicino a noi, che ci colpisce per la sua apparente insensatezza. Quindi collochiamo semplicisticamente le persone violente, le madri che uccidono i figli o i mariti uxoricidi nell'ambito della follia. La capacità umana di infliggere sofferenza è stata ricondotta a una patologia della mente, a un passato personale e collettivo mai elaborato o a una pressione di peculiari contesi sociali. La piena comprensione del male però è refrattaria alle risposte semplicistiche; piuttosto è necessario riconoscere quanto questo sia costitutivamente fatto di relazioni, d'amore e d'odio, di potere e sudditanza, di libertà e costrizione. La psicologia clinica oggi intercetta sempre più nei suoi spazi di cura pazienti violenti, giovani e meno giovani senza paura e senza speranza. Incapaci di provare empatia, che appaiono inclini ad agiti la cui gratuità e crudeltà sconcerta. Questo libro indaga la psicologia dei "carnefici" attraverso un serrato dialogo tra i recenti contributi scienze della mente e la narrazione di storie cliniche, illustrando le attuali prospettive interpretative e le ricadute sul piano dell'intervento clinico.