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Esilio come esperienza concreta di una patria perduta: legato agli eventi politici e sociali della Storia, l'allontanamento dalla patria è a volte scelto, a volte imposto, sempre dolorosamente sofferto. Ma esilio anche come dimensione esistenziale, ben descritta in letteratura, dell'essere senza patria, al di fuori di ogni reale emigrazione, che attraversa ognuno di noi che, almeno in qualche momento della vita, si è trovato in una terra straniera, incapace di comunicare ad altri la propria condizione, la propria solitudine, e che si radicalizza nel mondo schizofrenico, dove lo sradicamento connaturato con l'esperienza psicotica si accompagna ad un ulteriore esilio, causato dalla risposta della società, emarginante ed escludente. Profonde e similari dinamiche di esclusione, caratterizzate nei casi più estremi dalla cancellazione della pietas, segnano la figura dello straniero soprattutto quando è immigrato, rifugiato, espatriato, clandestino, deportato, profugo, perseguitato politico, in un'epoca, la nostra, tragicamente segnata da migrazioni, da respingimenti e da inenarrabili erranze. Anche se la resistenza ad accogliere l'altro, il "diverso", folle o straniero che sia, è antichissima. Dal folle allo straniero, dunque. Ma cosa lega queste due figure se non il fatto che la resistenza ad accogliere l'altro, il "diverso", non è che la resistenza ad accogliere l'altro, il "diverso", che sta dentro di noi?