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A chi di noi non è capitato, in questo tempo di crisi, di sentirsi richiedere sul lavoro maggior coinvolgimento, più energia, partecipazione e anche responsabilità crescenti? Tutto ciò in un contesto di poca chiarezza e in un mondo organizzativo nel quale gli spazi di ascolto, coesione e dialogo sono erosi dall'emergenza, dalla frenesia e da una sorta di anestesia emotiva. La quotidianità, inoltre, offre sempre meno occasioni alla pratica del dubbio e della riflessione, con l'evidente paradosso che il crescere dell'incertezza e della vulnerabilità non producono un pensiero altrettanto capace di porsi interrogativi, semmai l'opposto: un agire reattivo e spontaneo, ancor più ancorato al funzionamento inconsapevole delle strutture neurologiche di risposta e adattamento alla realtà. Quale spazio resta allora per una speranza diversa dalla salvaguardia del proprio lavoro, dal si salvi chi può, connessa invece alla realizzazione di una cittadinanza di sé nel lavoro e nel mondo? E, dalla parte delle organizzazioni, come rifondare l'alleanza tra persona e lavoro, tra individuo e società? La costruzione di un futuro migliore passa per la capacità di dirsi e darsi un "noi" fatto di progetti, basato sulla bellezza, sulla forza di volontà e su una leadership più vicina. Un futuro che ha bisogno di riabilitare le risorse neurologiche cognitive della coscienza e della consapevolezza, un futuro che inizia dal coraggio di vincere la routine e la sua rassicurante protezione.