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In una grande città dell'impero absburgico, l'unica istituzione imperial-regia che abbia conservato il suo splendore è la rinomata casa di piacere di via del Camoscio, la «casa della gioia». Qui si danno convegno militari, politici e personalità di spicco del mondo culturale cittadino, in un vivace e caotico salotto dove sfilano, ritratti da Werfel con la consueta finezza ironica e un po' nostalgica, personaggi indimenticabili: il nasuto intellettuale Schleissner, il pianista Nejedli, ex «Imperial-Regio Fanciullo Prodigio» il cui repertorio si è ridotto a tre brani, More, presidente nientemeno che della Società spinoziana, che si guadagna da vivere vendendo lapidi tombali, e tanti altri. Ci sono poi le ragazze: Grete, l'«intellettuale», Manja, la scaltra campagnola, e Ludmilla, aristocratica e orgogliosa, innamorata di un attore di terz'ordine. Tutto è sotto il controllo rigido della signorina Edith e del malaticcio signor Maxi. La morte improvvisa di quest'ultimo segna la fine anche dell'istituzione tanto antica e venerabile, che lascia il posto ai ritrovi più conformistici voluti, ironia della sorte, dal marito di Ludmilla, un politico ricco e influente. L'ex inquilina della «casa della gioia», diventata una signora borghese, non riconosce più nessuno dei suoi vecchi clienti, neppure il suo grande amore di un tempo; il ricordo degli antichi piaceri si è spento in un'agiata rispettabilità.