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Dopo averci commosso con le sue favole, dopo il successo del libro a quattro mani con Carlo Petrini sulla possibilità di un'esistenza diversa, che riscopra il piacere della lentezza e della condivisione, Luis Sepúlveda racconta in un «romanzo in storie» il passato e i sogni di una generazione. E lo fa attraverso la lente dell'affetto e dell'ironia, che stempera le tensioni e ci riporta intatti le passioni e i momenti di entusiasmo della sua giovinezza militante. A partire dal personaggio più vistoso del libro, l'uzbeko muto, che non è né uzbeko né muto. Si tratta infatti del peruviano Ramiro, vincitore di una borsa di studio all'Università Lomonosov, che sogna, come tanti studenti del Terzo Mondo, un'istruzione sovietica nella Patria del Socialismo. Peccato che a Mosca non ci sia nulla di quello che interesserà davvero a Ramiro, cioè le ragazze, la musica e l'alcol. Peggio gli va quando tenta di avvicinarsi a Praga, dove si dice che tutte queste cose abbondino, per approdare invece in Uzbekistan, con un freddo glaciale, gente che parla solo russo e nemmeno un goccio d'alcol, perché è un paese musulmano. Come tornare almeno a Mosca? Affidandosi agli espedienti di un pope avvinazzato e fingendosi appunto uzbeko (e muto)...