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L'idea guida di questo saggio è che l'arte, dall'inizio della storia, sin da quando cioè si afferma la divisione del lavoro e nascono le classi sociali, ha sempre avuto a che fare con il potere. Nel corso dei secoli le dinamiche di questa relazione hanno sicuramente influenzato l'arte, senza riuscire a modificarne l'intima essenza. Negli ultimi decenni, tuttavia, il potere tende a centralizzarsi a livello sovranazionale, assumendo una fisionomia che riflette, da un lato, l'affermazione e la naturalizzazione del capitalismo finanziario globalizzato e, dall'altro, il binomio tecnocrazia-ipercomunicazione. Questo nuovo tirannico dispositivo mette a rischio l'arte per come l'abbiamo conosciuta nel corso dei secoli, riportando all'ordine del giorno la questione della sua morte, ben oltre le previsioni di Hegel. Con lucidità e passione, l'autore indaga dapprima i rapporti fra l'origine dell'arte, la sua natura intima e il potere. Successivamente analizza le trasformazioni che questi rapporti hanno subito nel corso dei secoli, e l'attuale dominio dell'ultracapitalismo finanziario globalizzato, trionfante e insieme portatore di una drammatica crisi epocale. Ciò che questo dominio ha prodotto ha finito per trasformare l'arte in una sottomerce, mettendo a rischio la sua sopravvivenza nella plurimillenaria lotta per la difesa della propria libertà e autonomia. Prefazione di Alberto Burgio. Postfazione di Claudio Strinati.