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Il canto «mite e discorde» di Francesco Nappo rappresenta, come è stato detto, un astro solitario all'interno della poesia italiana contemporanea. Tale poesia, infatti, che in lingua o in dialetto non somiglia a nessun'altra, rifugge ogni strumentalizzazione critica. In questa sua terza raccolta, Nappo esprime un'esigenza storica, politica e religiosa - vorremmo dire, in una parola, profetica - che lo conferma come il poeta più inattuale della sua generazione, e per questo forse uno dei più indispensabili. La tensione etica e civile non sembra esaurirsi nella città, ma coinvolge persino la muta natura campestre. Nei versi di Nappo ci sembra di ascoltare una lingua immemoriale, fatta di parole alte, spesso desuete e riappropriate nuovamente, con legami sintattici inediti: ma essa è anche fatta di oggetti preziosi ossidati, conchiglie rotte, ciottoli, e il suo splendore è opaco.