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«La città mi ha insegnato infinite paure: / una folla, una strada mi han fatto tremare, / un pensiero talvolta, spiato su un viso.» Sono frasi da I Mari del Sud , la poesia che apre Lavorare stanca (pubblicata una prima volta nel 1936 - con qualche censura - e poi, con l'aggiunta di alcune liriche, nel 1943): vi si può leggere il punto di vista da cui muove la scrittura poetica di Pavese, un'osservazione partecipata ed emotivamente coinvolta, e insieme un distacco, una distanza incolmabile e paurosa dagli altri. Ma allo stesso tempo già dagli inizi, questa raccolta mostra un'unità d'accenti e nei suoi versi lunghi e "narrativi" Pavese riesce a raccontare delle Langhe e della città (Torino) come di campi bruciati dal sole e di amori crudeli quanto può esser crudele la vita. Ben più intima è la voce che si strugge nella raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (uscita postuma nel 1951), in cui una speranza d'amore, luminosa e definitiva, è cercata e dolorosamente negata. Val la pena che il sole si levi dal mare e la lunga giornata cominci? Domani tornerà l'alba tiepida con la diafana luce e sarà come ieri e mai a accadrà. Prefazione di Paolo Di Paolo.