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Nel 1956 Italo Calvino scriveva, nell'introduzione a Fiabe italiane. "Delle Marche ho trovato solo una dozzina di pezzi, ma raccontati in modo così allegro e vivace che sono tentato di passare anche questa tra le regioni privilegiate...". In una nota si legge poi: "Le Marche e soprattutto la zona di Jesi ebbero un ottimo raccoglitore in Antonio Gianandrea...". Proprio da Gianandrea e da Luigi Mannocchi, il folklorista piceno più rappresentativo, autore di imponenti raccolte di cultura e tradizioni popolari, trae ispirazione questo lavoro, come pure dalle fiabe e leggende di Enrico Filippini, Carlo Gargiolli, Giovanni Ginobili, Caterina Beri Pigorini, Nicola Leoni e Lando Siliquini. Ma, come è giusto che sia, molti di questi testi discendono dalla tradizione orale, da fonti la cui origine si perde nel passato, e che ancora oggi sono tramandate attraverso la memoria storica del dialetto. Le otto sezioni del libro (Astuzia e stupidità; Casi comici; Re, figli di re e dintorni; I patti; Casi difficili ed eroici; Gli aiutanti; Casi misteriosi; Tesori nascosti) danno vita a un corpus vivace in grado di testimoniare la profondità e l'esemplarità della narrativa popolare marchigiana.