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Momo, figlio della Notte, dáimon sospeso tra cielo, terra e inferi, cacciato dall'Olimpo per avere criticato le opere divine, è l'emblema irridente della mordacità e dello scherno. Come il filosofo cinico, negletto e viandante, ma pronto a scardinare ogni convenzione, mescolando il serio e il ridicolo in una tipica varietà del riso antico: lo spoudaion géloion. Tramandato nei secoli del cristianesimo dalle momerie, il demone riemerge con Leon Battista Alberti, recuperando le antiche valenze ciniche; di lì ripartono le vie cinque-seicentesche della satira lucianesca, da Erasmo a Rabelais, dal Lazarillo a Cervantes. Questo saggio prova a restituire la centralità perduta e occultata dell'area del riso cinico, vasto sistema circolatorio europeo alle origini della modernità, nel segno prevalente dell'opposizione erasmista.