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Se Primo Levi è universalmente riconosciuto come figura emblematica del testimone dello sterminio, la sua poesia ha raramente attirato l'attenzione. Essa occupa tuttavia un ruolo centrale nella sua opera, la cui portata estetica rimane sottovalutata. In una lingua apparentemente molto semplice, la poesia disegna la figura ambigua del superstite, presta la parola ai morti invano, ai sommersi, ma anche ad animali disprezzali, ad oggetti inanimati. Questo saggio ha l'ambizione di riconoscere tutta l'importanza di questa opera poetica, nonostante, opponendo la letteratura alla testimonianza, si trascuri ancora troppo spesso la posta artistica della letteratura dello sterminio. Quando taluni profetizzano una post-cultura e una post-umanità, l'etica poetica di Levi diviene sempre più illuminante e necessaria. Quando certi discorsi neoapocalittici strumentalizzano Auschwitz per edificare teologie ciniche, essa disegna tra i sopravvissuti e le vittime una nuova allenza, che include tutta l'umanità.