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Il presidente Carter non definì mai una politica specifica per i dissidenti sovietici. Eppure, questi si ritrovarono al centro della sua azione diplomatica. Questa prominenza dipendeva dagli impegni assunti in campagna elettorale, dall'attenzione del pubblico americano e del Congresso verso la questione dei diritti umani in Urss, e soprattutto dal fatto che, sul problema dei dissidenti, si intrecciavano le due principali iniziative della Casa Bianca: la politica dei diritti umani e quella di distensione. Per Carter, la campagna per i diritti umani e il dialogo bipolare non erano in antitesi, bensì complementari e interdipendenti. Da una parte, infatti, la critica rivolta ai sovietici per le violazioni dei diritti umani avrebbe permesso alla Casa Bianca di legittimare la distensione e la politica per il controllo degli armamenti agli occhi dei tanti critici conservatori che denunciavano la distensione come una nuova forma di "appeasement". Dall'altra, la distensione fu immaginata come la cornice necessaria per il reale avanzamento dei diritti umani in Unione Sovietica: senza il dialogo bipolare, gli Stati Uniti non avrebbero potuto fare nulla per favorire la diffusione delle libertà fondamentali in Urss. Proprio per questo, Carter sembrò seguire una strategia all'insegna della fermezza e dell'"open diplomacy" nei confronti delle violazioni sovietiche.