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Amare la propria terra tanto da onorare con sacro rispetto le proprie origini. Amare la propria terra tanto da guardare al futuro con speranza, fierezza, entusiasmo e il desiderio di migliorarla e renderla crocevia strategico del Mediterraneo, «piattaforma [...] di eccellenza per la sperimentazione, lo sviluppo e l'implementazione delle tecnologie». In queste pagine Ugo Cappellacci, presidente della Regione Sardegna dal 2009 al 2014, rivela con franchezza il suo modo di intendere e fare politica, alla luce dei risultati ottenuti e delle tante sfide che la sua terra e l'Italia intera devono ancora affrontare. Di cosa ha bisogno la Sardegna? Di avere ben chiari i suoi limiti e di poterli trasformare in un trampolino per lo sviluppo. L'insularità comporta isolamento e una serie di svantaggi (geografici, per la mobilità, economici, sanitari), ma ha preservato finora un patrimonio ambientale quasi intatto, non contaminato dalla modernità. La marginalizzazione dovuta a fattori geografici può e deve essere gestita assicurando continuità territoriale, vantaggi fiscali propri di una zona franca, la riqualificazione di quanto di prezioso c'è già (territorio, cultura, prodotti agroalimentari). Cappellacci insiste perché la strada che da presidente di Regione aveva iniziato a tracciare non venga abbandonata. La Sardegna deve battersi per vedere riconosciuta la sua insularità, la sua specialità («è proprio la specialità l'arma giusta per vincere la sfida della globalizzazione»), e deve rivendicare la sua autonomia dallo Stato centrale (sulla scia del sardismo e del desiderio secolare di indipendenza). È questo il momento di agire con decisione e lungimiranza; con i fondi del Pnrr, la Sardegna deve compiere il grande salto e rendersi autonoma, «deve puntare sui suoi vantaggi competitivi non delocalizzabili», deve essere protagonista delle sue scelte: «L'autonomia che immagino è il contrario dell'antico scaricabarile ed è principalmente assunzione di responsabilità».