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La storia narrata in questo libro, come tutte le fiabe più belle, si è svolta in un passato ormai lontano e ha un che di misterioso. Lello Arena ha atteso tanto tempo prima di raccontare la grande esperienza di vita e arte che ha condiviso con Massimo Troisi, perché temeva di fare la fine di quelli che sono stati rapiti dagli alieni: non riescono a spiegarsi e vengono presi per matti. Ma ora, ad anni di distanza, i suoi ricordi si sono cristallizzati in un quadro che non è "tutta la verità su Massimo", ma semplicemente la "versione di Lello" su un'avventura formidabile, con un pizzico di magia. Ci volle certamente lo zampino di qualche creatura soprannaturale per farli incontrare da ragazzini - Massimo di San Giorgio a Cremano e Lello, cittadino di Napoli - e perché a loro si aggregassero gli amici indispensabili, Alfredo e Gaetano. E fu allora che, come in un gioco infantile ("Facciamo che eravamo..."), si accese la scintilla dei dialoghi surreali, della finzione che diventa realtà. Da giocare a recitare, da vivere a improvvisare scenette, il passo era breve e solo da lì poté scaturire la comicità tanto irresistibile quanto ineffabile della Smorfia. Poi le loro vicende si infittirono come nelle fiabe, con gli ingredienti indispensabili dell'amore e delle gelosie, con la sirena tentatrice del successo mediatico (prova insidiosa per chiunque), con incontri prodigiosi - da Pippo Baudo a Renzo Arbore - e con un cuore, quello di Massimo, che faceva tic tac come una sveglia rumorosa. Ma, in tutta questa bufera, magicamente sopravviveva la complicità irripetibile fra Lello e Massimo che, nata nei giochi da ragazzi, illuminò i tre capolavori cinematografici interpretati insieme. Una realtà più bella della fantasia. Tanto che Lello Arena, pur avendo toccato con mano e visto con i propri occhi tutto ciò che racconta, talvolta si ritrova a pensare: «Di tanto in tanto, ho persino la sensazione che non sia mai successo. Che sia frutto di un sogno o di un'allucinazione prodotta dall'indigeribilità oggettiva della parmigiana di melanzane, nella versione assassina inventata da mia madre».