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Chiunque si occupi di raccolta e analisi dei dati lo sa bene, o almeno dovrebbe: le informazioni che non conosciamo possono essere altrettanto importanti di quelle che abbiamo a disposizione. Ha senso affermare che un prodotto è efficace perché ha solo recensioni favorevoli? Ed è davvero possibile prevedere il buon esito di un trattamento medico sulla base di un campione che, per quanto ampio, non corrisponde alla totalità dei casi? Considerazioni analoghe si possono applicare alla nostra vita di tutti i giorni: perché invidiare una persona per i successi messi in mostra sui social network, quando i suoi fallimenti ci vengono opportunamente nascosti? In un'epoca dominata dai big data, conviene prestare maggiore attenzione al rovescio della medaglia, ovvero ai dati che sappiamo di non avere o - peggio ancora - che crediamo erroneamente di possedere. Simili alla materia oscura che elude le rilevazioni dei cosmologi, i dark data influenzano ogni campo di studio e di lavoro, dalla ricerca medica all'industria, dalle politiche pubbliche e sociali al settore finanziario, e sono molto più numerosi di quanto pensiamo. Sottostimarli è dunque un grave rischio, che può portare a costruire modelli fuorvianti e inesatti, con conseguenze talvolta catastrofiche. Al contrario, smascherare questi numeri «traditori» e imparare a gestire i problemi che essi provocano può portare vantaggi nella nostra sfera professionale e in quella personale. I dark data ci insegnano, infatti, a capovolgere il modo di considerare l'analisi dei dati, facendoci comprendere più a fondo l'universo dell'informazione e ad affrontare l'imprevedibile in maniera più consapevole e ponderata.