Tab Article
Tra le pagine meno note della storia del Terzo Reich c'è quella della straordinaria ondata di suicidi che ha attraversato la Germania nelle ultime fasi della Seconda guerra mondiale. Una vera e propria "epidemia" che ha mietuto vittime non soltanto tra i militari e i gerarchi nazisti (a cominciare da Adolf Hitler) ma soprattutto tra i comuni cittadini. Nei primi mesi del 1945, i casi di annegamento, impiccagione, avvelenamento, che spesso annientarono intere famiglie, divennero così frequenti e capillari da rendere difficile persino contarli. Tormentati dal senso di colpa, ossessionati dagli orrori della guerra, terrorizzati dall'arrivo dell'Armata Rossa, la cui offensiva stava lasciando dietro di sé una scia di sangue, distruzione e violenze, migliaia di tedeschi di ogni età ed estrazione sociale scelsero di rivolgere su se stessi e sui propri cari quella violenza che ormai da troppo tempo era parte della loro realtà quotidiana. A partire dal caso di Demmin, la cittadina della Pomerania dove ha avuto luogo il più grande suicidio di massa della nazione, Florian Huber prova a ricostruire la psicologia di un intero popolo, per rendere ragione di un fenomeno che non ha equivalenti negli altri Paesi falcidiati dalla guerra, e che in Germania ha potuto contare su un particolare combustibile: l'ideologia. Con l'aiuto di preziose testimonianze private, l'autore ci spiega come l'intera parabola del Terzo Reich sia stata un susseguirsi di emozioni travolgenti, di stupefacente intensità, destinate a marchiare indelebilmente l'animo del popolo tedesco. E quando il Reich fu messo in scacco dal nemico, la fine di quel tragico sogno - e il vuoto di speranza che portava con sé - fu per molti davvero impossibile da tollerare.