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Le terre dell'Arizona nel 1893 sono ancora sconfinate e lo è anche il cielo, teso e ininterrotto, che fa loro da specchio. Un luogo impietoso e gonfio di silenzi che chiede alla vita di muoversi piano, con attenzione, obbedendo all'essenziale. Se si restringe il campo, in tanta vastità spuntano due esistenze: entrambe in affanno, entrambe attraversate e ferite dal rumore sottile che scava la solitudine. Nora Lark è una risoluta donna di frontiera che aspetta il ritorno del marito, partito in cerca di acqua, e dei due figli maggiori, scomparsi dopo uno scontro acceso. Vive, all'ombra del canyon, nell'insediamento di Ash River, con l'altro figlio, un delicato bambino di otto anni convinto che una bestia misteriosa si aggiri nei pressi della loro casa. Giunto in America dal Medio Oriente quand'era un ragazzino, Lurie Mattie è un fuorilegge assillato dai fantasmi, dai quali scappa imbarcandosi in una fortunosa spedizione per quelle gialle pianure - asciutte, spettrali, già violentemente strappate agli indiani - al seguito di un gruppo di uomini taciturni che si muovono cavalcando cammelli. È tramite l'invenzione di Téa Obreht che queste due esistenze lontanissime si toccano per un istante infinito, tessendo una storia immaginifica che riscrive il mito della frontiera attraverso un viaggio epico e un paesaggio immortale, sospeso tra leggenda, sentimenti assetati e pieghe di commozione pura.