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Apartire dal 1925, il "New Yorker" è una voce inconfondibile e indispensabile della cultura americana, con i suoi reportage, commenti politici e racconti di scrittori famosi. Ma la prima cosa che vanno a vedere i lettori del "New Yorker" sono le vignette. Sin dal primo numero, hanno arricchito le pagine del settimanale con un umorismo pungente e intelligente, mai banale, volgare o aggressivo. E hanno raccontato con l'ironia e il paradosso l'evoluzione e i tic della società statunitense: dai ruggenti anni Venti all'era di internet, dalla guerra fredda alla contestazione. "Le vignette del 'New Yorker'", scrive Adam Gopnik nella sua introduzione, "hanno continuato a svolgere alcuni dei compiti cui la narrativa di finzione ha in gran parte rinunciato: fissare tratti e tic della vita urbana, mostrare il modo in cui viviamo. Questa abilità di registrare la mutevole superficie del mondo, di costruire una pluralità di mondi attraverso una pluralità di stili, è ciò che ci fa guardare e riguardare questi disegni, anche molto dopo che i loro soggetti hanno smesso di essere attuali. Sfogliando queste pagine, ci si chiede se tutti questi artisti non ci offrano, con amorevole modestia, quello che esigiamo da ogni tipo di arte, grande e piccola, alta e bassa, divertente e austera: la luce di un'epoca scomposta dal prisma di una mente". Nelle pagine di questo volume sono riprodotte, rispettando il più possibile le dimensioni originarie, oltre 2000 vignette apparse sul "New Yorker" dal 1925 agli anni 2000.