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In un'epoca che ha fatto del decisionismo e dell'arroganza delle virtù, sostenere che la fragilità è un valore umano potrebbe suonare come un'eresia. Qualsiasi studioso del comportamento animale potrebbe spiegarvi quanto sia indispensabile la paura per la sopravvivenza, ma ammetterebbe solo controvoglia che quella regola vale anche per noi. Eppure ogni giorno i piccoli passi e le grandi svolte della nostra vita ci insegnano che non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell'affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione, aprendoci - quando serve - al loro dolore. Seguendo le fasi della nostra crescita, Andreoli coniuga i mille volti della fragilità, rappresentandola non come una calamità per sventure, ma come uno scudo che da queste ci difende, perché quello che di solito consideriamo un difetto è invece la virtuosa attitudine che ci consente di stabilire un rapporto di empatia con chi ci è vicino. Con "L'uomo di vetro" Andreoli dimostra, grazie alla familiare immediatezza delle sue parole, una tesi solo in apparenza paradossale: il fragile è l'uomo per eccellenza, perché considera gli altri, suoi pari e non, potenziali vittime, perché laddove la forza impone, respinge e reprime, la fragilità accoglie, incoraggia e comprende.