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Il cinema italiano del dopoguerra, poi denominato "neorealismo" dalla critica militante, per intenzioni e risultati non fu affatto un episodio unitario. In gran parte esso si accreditò di una sostanziale conformità con gli schemi e i miti ideologici della Ricostruzione: fu "un cinema al servizio dello Stato". Tuttavia il cosiddetto cinema del "neorealismo" non si esaurì in tale significato. In contraddizione con lo "Zeitgeist", molte alte pagine di Rossellini e i film di De Sica sui drammi sociali della Ricostruzione cercarono di guardare davvero a fondo nella tragedia in atto, per cambiare qualcosa nell'identità collettiva. Al pessimismo radicale di questo cinema anomalo e trasgressivo, per esorcizzare gli inferni che esso evocava, fu riservato lo stesso destino correttivo di ogni altra anomalia e discontinuità della rifondazione civica: fu santificato e rimosso, accostato alla banalità di imitazioni pretestuose e varianti in sintonia con i sentimenti delle istituzioni. Mortificato dal marchio inflazionistico di "neorealismo".