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La cultura dell'integrazione è soffocata da quella della separazione: di per sé ogni tecnica offre risposte a singoli problemi, ma immette germi caotici. Lo si riscontra nei processi formativi, negli apparati normativi, nelle logiche amministrative, nel rapporto fra piani e progetti, dovunque: quindi negli spazi fisici in cui siamo immersi. Il coordinamento fra le azioni sembra sempre più modesto, anche se tecnologie ed innovazioni esaltano le possibilità di mettere in relazione ogni elemento e alimentano la fiducia nel futuro. Nei nostri spazi le individualità prevalgono sulle superindividualità e non è solo la questione ambientalead evidenziare la necessità quasi utopica di procedere tutti insieme. Suddivisioni disciplinari e specialismi esasperati sono da tempo analizzati con ironia, criticati, scardinati nei presupposti anche con rigore scientifico. Oggi più che mai e in ogni senso l'imperativo è integrare: non dissolvere identità, bensì rafforzarle in confronti dialettici, esaltarle nel loro intrecciarsi e convergere verso finalità condivise. Se questa cultura non invade ogni aspetto delle organizzazioni civili, non potranno che esistere conati di integrazione. Nei processi di trasformazione degli ambienti di vita, integrare è governo di sistemi complessi; rifiuto di autonomie settoriali; ricerca di unità caratterizzate da superindividualità, cioè "informate" dai contesti in cui andranno ad immergersi.