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All'inizio di settembre del 1918, sul finire dell'anno primo del potere sovietico in Russia, viene arrestato, in una retata di avversari politici, lo stimato storico e leader di un piccolo partito socialista-popolare, Sergej P. Mel'gunov. Presto, almeno in quell'occasione, verranno lasciate cadere dagli inquirenti, per manifesta infondatezza, le accuse di complicità in attentati e complotti, ma già durante questa prima detenzione e le relative indagini, Mel'gunov non rinuncerà mai a cercare interlocutori coi quali dibattere le proprie idee sul futuro del paese dopo lo zarismo. Alla Lubjanka, sede della Ceka, il suo interrogatorio si trasforma in uno snervante colloquio di ore con il "ferreo Dzerzinskij" durante il quale Mel'gunov cerca di convincere il capo della polizia politica segreta che la strada da loro imboccata col Terrore è sbagliata e immorale; al Cremlino pone la stessa questione al conoscente di vecchia data Vladimir Bonc-Bruevic, intimo di Lenin e divenuto capo di gabinetto del Consiglio dei commissari del popolo: quello ammette il fatto della soppressione di ogni libertà, ma gli assicura che è intenzione dei bolscevichi abbreviare al massimo il periodo della dittatura. La dittatura diventerà invece un sistema stabile di potere contrassegnato dal Terrore. E malgrado ventitré perquisizioni e requisizioni di libri e altri quattro arresti, Mel'gunov raccoglie da allora gli elementi per stilare, da documenti ufficiali e testimonianze attendibili, le sue minuziose "Cronache".