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Agli inizi del XXI secolo i beni comuni sono riemersi nel dibattito pubblico dalla notte dei tempi, diventando la bandiera dei movimenti progressisti mondiali che cercano una via d'uscita dal capitalismo. Tra i beni comuni si distinguono i beni comuni materiali che coinvolgono il diritto di una comunità di godere dei frutti di un bene o risorsa naturale. Vi sono poi "altri" beni comuni, materiali anch'essi, come l'atmosfera e la biodiversità, oppure immateriali come la creatività umana, fino ai diritti "universali" della persona. Il recupero dei diritti delle comunità sui beni comuni, la loro riappropriazione delle risorse naturali, rappresenta un nuovo paradigma di società organizzata a livello locale e a partecipazione democratica, ecologicamente sostenibile, integrativo e in parte anche sostitutivo del mercato, da rilanciare anche nei paesi del Nord. L'agricoltura organica di prossimità, i cicli corti, la riduzione dei tempi e dei costi energetici dei trasporti, e più in generale il controllo democratico del territorio da parte delle comunità locali possono fare la differenza dando protagonismo alle popolazioni ivi insediate su scelte che le riguardano da vicino e rilegittimando lo Stato e l'intervento pubblico. Ma affinché questa proposta possa essere presa in considerazione, occorre che la politica diventi "ecologia politica", mettendo la natura al centro delle politiche e valutando a monte quali effetti sociali ed ecologici quelle scelte possano produrre.