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La Pampa è un'immensa distesa di sabbia e di verde nel cuore dell'Argentina, dominata dal gaucho, che Jorge Luis Borges assimilò all'Ulisse dantesco. Le sue scorribande con il lazo sono ginniche configurazioni della sua destrezza appoderativa. Il territorio pampeano, nel quale il gaucho è colto dalla curiosità iberica e mediterranea, nell'epoca moderna, appare come un labirinto scomposto dal vento, che rende visibile una sorta di frontiera ideale ai viaggiatori stranieri, invisi all'indio nativo, un esegeta degli spazi aperti, irredimibile alla propensione modernizzante. La solitudine del paesaggio si coniuga con l'uniformità di color ocra, interrotta, a tratti, dal verde delle lagune popolate dai giunchi. La natura apparirebbe inanimata se non si scorgessero planare, a periodi ricorrenti, le cicogne e gli struzzi. Alla linea dell'orizzonte fa da contrafforte emotivo per i primi popolatori della Pampa il boliche, un ridotto urbano, nel quale si dimidia l'attrattiva per l'inedito della creazione. A corroborare l'aspettativa salvifica dei migranti si evocano malinconicamente gli emisferi del mondo dispersi nella memoria. Il tango, che Ernesto Sabato, l'autore di «Sobre héroes y tumbas», declama elegiacamente come «il pensiero triste che si balla», riconcilia le tensioni sensuali con le aspettative salvifiche. A corredare un album di ricordi, sovrastati dal nuovo corso degli eventi, sopperiscono le fantasticherie estetiche di Florencio Molina Campos.