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Negli ultimi decenni sono cresciute anche nel nostro Paese le aspettative di un coinvolgimento più sistematico e diretto delle università nei processi di innovazione economica e sociale. Al tema è stata dedicata un'ampia ricerca i cui risultati sono presentati in due volumi. Nel primo - «La terza missione degli accademici italiani» - è approfondito il ruolo degli accademici per mezzo di un'estesa survey. Questo secondo volume mette invece a fuoco il contributo degli atenei come organizzazioni allo sviluppo dei territori in cui operano. Al centro dell'indagine vi è la «terza missione» dell'università, che va ad aggiungersi alla didattica e alla ricerca scientifica. In particolare vengono analizzate le attività volte alla valorizzazione commerciale diretta della conoscenza scientifica attraverso i brevetti o la creazione di imprese da parte degli accademici (spin-off), ma anche la ricerca condotta in comune con le aziende o per conto di queste. Vi è un largo consenso sulla necessità di un impegno maggiore delle università su questo terreno. Ma quali sono i risultati finora raggiunti? Vi sono differenze tra piccoli e grandi atenei, o tra regioni del Sud e del Centro-Nord? Quali fattori spiegano il maggiore o minore successo della terza missione? A queste domande cerca di dare una risposta questo lavoro. Ne emerge un quadro in parte inatteso. Certo pesano la domanda del tessuto produttivo e l'impegno dei governi locali. Tuttavia, ciò che conta di più per contribuire all'innovazione e allo sviluppo dei territori non è la dimensione o la localizzazione territoriale, ma la capacità degli atenei di darsi una strategia solida e di stabilire un buon livello di coordinamento con le imprese e i governi locali.