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Il volume analizza la separazione del "foro interno", cioè il foro della coscienza, dal "foro esterno" cioè il foro giudiziario a partire dai secoli XII-XIII. Secondo l'adagio ben conosciuto dai canonisti medievali "La Chiesa non giudica le cose occulte", il campo d'azione lasciato al giudice era limitato e in seno a ogni individuo era riconosciuta, dalla stessa istituzione ecclesiastica - distinguendo tra "secretum", un sapere umano dissimulato, e "occultum", prodotto di forze sovraumane - una zona di esenzione completa, sottoposta solo allo sguardo di Dio. Il concilio Lateranense IV del 1215 tuttavia impose la confessione auricolare e con essa l'obbligo di rivelare anche gli "occulta cordis" da cui dipendeva la salvezza eterna, una misura che aprì la strada all'Inquisizione e alla sua volontà di ricercare anche i peccati di pensiero nascosti. Tale pratica giudiziaria comportò un'esigenza di trasparenza assoluta e una pubblicità della coscienza da cui si è sviluppata una casistica assai complessa che testimonia delle tensioni relative all'autonomia dell'individuo e alla faticosa e contrastata costruzione del soggetto a fronte del potere inquisitorio.