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Negli ultimi anni, si è consolidato, sempre più, un corpus normativo di matrice sovranazionale, in grado di incidere le regole del processo penale, tanto quanto una fonte domestica; le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo dettano la soglia minima di tutela dei diritti dell'imputato e l'Unione europea ha elaborato una fitta trama di garanzie procedurali, nonché vari strumenti di cooperazione penale, finalizzati a sostituire i classici canali dell'assistenza giudiziaria. Oggetto principale di questo studio sono i "limiti" alla prova promananti da tale embrione di "procedura penale europea", ossia le restrizioni all'efficacia dimostrativa del materiale probatorio, forgiate dalla Corte dei diritti umani e dal legislatore dell'Unione. La Parte I è dedicata all'individuazione del concetto di "limite" alla prova e all'analisi di un modello di riferimento - la legge processuale penale italiana - da cui ricavare le coordinate dogmatiche necessarie e alcuni parametri di confronto. La Parte II ricostruisce l'insieme dei criteri valutativi e delle regole di esclusione, che la Corte di Strasburgo pone a tutela delle prerogative difensive racchiuse nel "right to a fair trial" di cui all'art. 6 Cedu. Infine, la Parte III prende in esame le cosiddette direttive "di Stoccolma", volte ad armonizzare le garanzie difensive dell'imputato nell'Unione, e gli strumenti di collaborazione fra Stati, che prevedono forme di raccolta, acquisizione, trasferimento e scambio di prove.