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L'autobiografia del grande regista si snoda come un film, nel quale i personaggi sono i fantasmi della memoria, i morti "costretti a tormentare i vivi", "il mondo perduto di luci, profumi, suoni" congelato nell'infanzia che a volte si scioglie liberando sentimenti dolci e struggenti. Un percorso che annoda presente e passato svelando quanto della propria esperienza vissuta traspaia nell'opera teatrale e cinematografica. Non ci sono reticenze né falsi pudori nel raccontare le prime esperienze erotiche dell'adolescenza o i grandi amori della maturità, come quello per Liv Ullmann, o l'entusiasmo giovanile per il nazismo, né alcun narcisismo nel ricordare gli incontri con von Karajan o Greta Garbo. Il cerchio della memoria si chiude con una pagina tratta dal diario della madre, in cui si racconta la nascita di Ingmar e l'eventualità che il piccolo non sopravviva, data la sua debole costituzione.