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"Nelle catacombe è rimasto a lungo, seguito da pochi lettori: che però si chiamavano Caproni, Luzi, soprattutto Giudici. (...) La sua è una poesia tutta interiore, di meditazione critica sull'esistenza, fra gli istmi e le chiuse in cui si muove, alla ricerca di un passaggio stretto, illuminato da una intermittente luce religiosa. Ma non poesia solipsistica, da compiacimento ombelicale. L'interiorità è suggerita, secondo il grande modello di Caproni, dalle presenze esterne, oggetti, figure, paesaggi" (Giorgio Calcagno, "La Stampa-ttL").