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La "Storia d'Italia" è stata spesso accostata al "Principe" ma, come osserva Emilio Pasquini nella sua introduzione a questo volume, in Guicciardini "non è dato ricostruire un sistema originale di dottrine, una filosofia della storia, cioè, o una teoria di scienza politica". Tecnico, diplomatico e infine storico, egli crede nell'infinita varietà delle cose da cui non si deducono leggi eterne e onnicomprensive. Di qui il suo programmatico scetticismo, il culto del "particulare" o della "discrezione", quel suo connaturato senso del limite; di qui - contro la vitalità irriducibile di Machiavelli - anche il suo pessimismo senza miti, quella virile malinconia che non lo abbandonò più dopo il fallimento del suo programma".