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Destinato a una circolazione clandestina negli ambienti dell'opposizione al regime imperiale di Costantinopoli, questo pamphletin solito e insolente, scritto intorno al 550 d.C. ma scoperto secoli dopo, è una sorta di storia segreta della corte di Giustiniano e un'impietosa denuncia dei vizi e del malcostume che vi dilagano. Il rancore di Procopio, alto funzionario rimosso dai suoi incarichi, investe con violenza ogni aspetto della vita dell'imperatore, dalle umili origini della dinastia alla politica estera scriteriata e irresponsabile, dalle persecuzioni religiose al capriccio nel fomentare le beghe di palazzo. In un alternarsi di registri espressivi - drammatico, stizzito, cupo, velenoso - l'opera si risolve in uno spietato attacco contro il dispotico potere imperiale, che ribalta sistematicamente il panegirico della propaganda e dà voce al malcontento della classe senatoria. Lo stile, ancorato ai modelli di Erodoto e Tucidide, è elegante e sostenuto, ma non disdegna incursioni nel comico e nello scabroso, come quando l'autore mette alla berlina i lascivi costumi dell'imperatrice Teodora. Introduzione di Giovannella Cresci Marrone.