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Leggere questa testimonianza di don Vincenzo de Florio (o padre Vicente, come lo chiamano in Brasile) significa imbattersi in un inguaribile innamorato che, a novant'anni suonati, vuole ancora cantare la sua canzone d'amore. Una canzone appassionata, senza rimpianti o tristezze. Don Vincenzo dice alle sue lettrici e ai suoi lettori: «Com'è triste la vita» quando si allontana il soffio dello Spirito, il solo che può liberare dalle illusorie sicurezze umane e culturali, il solo che può portare fuori dai confini falsamente rassicuranti dei guadagni e delle strutture. Don Vincenzo viene a dirci: «Com'è triste la vita» se non ti innamori dei poveri, siano essi zingari o "homeless", detenuti o "sem terra", senza radici o senza fede. «Com'è triste la vita» se non passi continuamente da Gerusalemme, simbolo del sacro che rinchiude, a Betlemme, periferia che t'immerge nella vita. «Com'è triste la vita» se non incontra il Cristo povero, che si identifica con i poveri cristi di ogni latitudine.