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Il pregiudizio negativo, lungo a morire, sui libri di scuola come prodotto secondario e poco pregiato viene messo qui ampiamente in discussione: non sulla base di argomentazioni e dibattiti più o meno teorici, ma attraverso la concreta esperienza di un insegnante e ricercatore che ha voluto misurarsi con la scuola e con l'editoria che ad essa si rivolge. Il primo risultato è un racconto, ora affettuoso e ironico (ma soprattutto autoironico), ora commosso e nostalgico nel ricordo di amici scomparsi. Ma dietro il racconto ci sono anche battaglie culturali e civili, come quella in difesa della geografia, indebolita e offesa proprio quando un mondo globalizzato sembra averne più bisogno. Si trova, nel libro, un contributo alla storia e all'attualità di una casa editrice che ha sempre occupato, e lo fa anche oggi, un posto assai importante nella cultura bolognese e nazionale. Ma vi si trova, soprattutto, la cronaca lieve e spesso scherzosa di un passaggio lento, e pur epocale, da un'editoria più tradizionale a quella di oggi. Una storia che non è mai, o mai soltanto, di tecniche e di macchine, ma di persone. Nel far rivivere il rapporto di un redattore (poi consulente e autore lui stesso) con personaggi di rilievo come Italo Calvino, nel raccontare la giornata di un redattore, Gianni Sofri sembra a volte descrivere un mondo scomparso.